lunedì 7 aprile 2014

Premio “Antonio Cerruti” – “Ariodante Marianni” 2014. Le motivazioni della giuria


              “Il bosco dei sogni interrotti” di Aldo Ferraris,
primo premio per il racconto breve

 La favola, sempre, nasconde dietro l'abito di un linguaggio apparentemente accessibile una polisemia profonda, perché deve veicolare messaggi pure complessi attraverso immagini semplici quanto potenti.
Scrivere una favola - anche per il solo sforzo concettuale - non è cosa facile, ma certamente il genere cui tende il racconto vincitore è proprio questo.
L'idea che sul fondo del nostro animo, fin da bambini - anzi, forse soprattutto da bambini, direbbe la psicanalisi - cresca un bosco oscuro di nodosi sogni interrotti, tanti quanti potrebbero essere le nostre vite incompiute, o quanto meno parti di esse, è un pensiero originale e moderno.
Naturalmente c'è una prova da superare e il nostro piccolo protagonista riesce a dare sfoggio di due qualità che gli adulti tendono a dimenticare, specie quando guardano al tempo che si indurisce come spessa corteccia dentro di sé: coraggio e creatività. Ed è interessante che, all'inizio, siano proprio gli alberi a suggerire al protagonista il metodo con cui farsi liberare dalla maledizione. Come a dire che la creatività nasce sempre da un atto di consapevolezza interiore. La medesima volontà che fa guardare al bambino l'albero dritto negli occhi, e a riconoscere una bocca, una voce che è la propria.
Nel finale, dove il dolore per la scomparsa della madre si trasfigura nell'impegno al continuare a leggere e scrivere storie giorno per giorno, ci fa tornare con la memoria a un momento indelebile dell'infanzia collettiva: il genitore che ci leggeva una fiaba. Ed è con questo ricordo che l'autore ci consegna la storia, non con scontato moralismo, ma con calorosa tenerezza. (C.M.)

 

“Pescatori” di Sara Brugo
secondo premio per il racconto breve

 Alla metà  del secolo scorso non era raro incontrare cercatori d’oro sul Ticino, curvi ed instancabili, con setaccio e bacile di ferro tra le mani. Ne tracciò un ritratto indimenticabile Sebastiano Vassalli ne “L’oro del mondo”. Il racconto di Sara Brugo ci annuncia il ritorno di un cercatore qui ed ora, in questo nostro tempo che ci ha tolto l’illusione che la povertà fosse vinta una volta per sempre e la libertà conquistata una volta per sempre. Sulla riva del fiume c’è il vecchio che pesca pesci per assaporare il suo ultimo tempo e anche per procurarsi una cena col sapore della giovinezza e dell’avventura e c’è il ragazzo che cerca l’oro inseguendo un sogno. Lo scorrere imperturbabile, antico e quasi senza tempo, dell’acqua del fiume contrasta con la mutevolezza delle storie dei due umani e ne sottolinea la caducità. Tuttavia l’autrice ci conduce con delicatezza nel loro mondo e il finale della storia vola alto. (E.B.)

 

“Alberi notturni” di Paola Lucarini
primo premio per la poesia

 Per l’atmosfera rarefatta, tra sogno e realtà, evocata con pennellate di colore, lievi e misurate, che fondono insieme due aspetti, apparentemente antitetici, della natura: la profonda, magica saggezza (di alberi onirici e pensosi), e l’impetuosa, fuggevole vitalità (di un fiume dal corso rapinoso), che travolge l’uomo, lo fa naufragare nella dolcezza taciuta, e per questo ancor più vivida, di un “blu oltremare” icastico e prezioso. (P.M.)

 
“Filemone e Bauci” di Rosa Maria Corti
secondo premio per la poesia

 Cimentarsi oggi con i miti antichi richiede coraggio. Con coraggio dunque Rosa Maria Corti nella sua poesia ripercorre il mito dei due vecchi sposi che non chiesero nulla al dio, se non di poter morire insieme, restando anche nella morte vicini. La quercia ed il tiglio avvinti resistono al tempo e alle stagioni e attorno a loro non è morte, ma vita: foglie che vibrano al vento, api ubriache di polline, la poetessa che trova lenimento alla sua pena. E la certezza finale ( suggerita dall’ossimoro del “disincanto azzurro”) che il mito e la poesia regalano vita anche oltre la morte. (E.B.)